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Dazi auto, tariffe al 25% sui componenti: chi ci guadagna davvero

di Redazione Ilquotidianodinapoli.it
04/05/2025
in Economia Italiana
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Dazi auto, tariffe al 25% sui componenti: chi ci guadagna davvero

Donald Trump tira dritto sui dazi auto, al netto di qualche aggiustamento in corso d’opera. Dal 3 maggio sono entrati in vigore negli Stati Uniti i nuovi dazi del 25% su motori, cambi e altri componenti importati per auto.
Le maggiori tariffe si inseriscono nella più ampia politica protezionistica dell’amministrazione Trump, volta a rilanciare la produzione industriale interna. Ma non solo: i dazi, come è evidente, sono anche uno strumento negoziale.
Dazi come strumento di pressione
Il settore automobilistico statunitense è fortemente dipendente dalle importazioni: il 60% dei componenti e quasi la metà dei veicoli sono importati.

Nei giorni precedenti, il presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo che attenua temporaneamente l’impatto delle nuove misure, introducendo rimborsi per le case automobilistiche che producono e vendono negli Usa, fino al 3,75% del valore della vettura.
Le auto con almeno l’85% di componenti prodotti negli Usa sono esentate dai dazi. Parte della partita di Trump, giocata alla luce del sole, è proprio quella di aumentare i volumi di produzione sul suolo americano, così da stimolare il mercato del lavoro, e non solo.
Ma i nuovi dazi rischiano di aumentare i costi di produzione, i prezzi al dettaglio e le spese per le riparazioni. Alcune aziende, come General Motors e Mercedes, stanno valutando espansioni produttive negli Usa, mentre altre, come Stellantis, hanno sospeso le previsioni finanziarie a causa dell’instabilità. Gli analisti avvertono che, nonostante i recenti ammorbidimenti, l’incertezza politica e la volatilità rendono rischiosi nuovi investimenti a lungo termine. I dazi, insomma, creano le condizioni maggiormente temute dagli analisti finanziari e da chi redige i business plan aziendali: l’incertezza.
Chi ci guadagna con i dazi
Se per alcuni i dazi sono un inciampo funesto, per altri rappresentano un’opportunità. Con i dazi ci guadagnano, almeno nel breve periodo, i produttori automobilistici con impianti già avviati negli Stati Uniti, che possono accedere ai rimborsi fino al 3,75% e possono aggirare le tariffe se rispettano la quota dell’85% di componenti made in Usa. Ma, come è evidente, ci guadagnano anche i fornitori di componenti americani che con il rincaro delle importazioni vedono aumentare le opportunità per chi produce localmente. Il vantaggio competitivo è duplice: sul prezzo e sulle tempistiche di fornitura.
Chi rischia di perdere, o sta già perdendo, sono le case automobilistiche che dipendono da forniture globali. Sono molti i produttori che assemblano auto negli Usa utilizzando componenti importati (oltre il 50%). General Motors ha stimato un impatto di 5 miliardi di dollari nei costi annui. I consumatori statunitensi potrebbero essere chiamati a sostenere costi maggiori, pari ad almeno l’1% sul prezzo finale dell’auto. Anche riparazioni e assicurazioni potrebbero costare di più. I Paesi esportatori infine, come ad esempio Corea del Sud, Messico, Canada e Giappone fra molti altri, subiscono un colpo alla catena di approvvigionamento e vedono ridursi l’export verso gli Usa.
Trump sulla recessione
Ci guadagna, almeno temporaneamente, anche Trump dal momento che l’applicazione dei dazi rafforza la sua immagine di difensore della produzione nazionale: lo applaudono parte dell’elettorato, parte degli industriali e parte del mondo sindacale. Tutto sta, però, nel superare la prova dei mercati anche alla luce dei possibili rincari annunciati nel medio-lungo periodo: “Questo è un periodo di transizione. Penso che andremo alla grande”, ma “tutto può succedere”. Così ha dichiarato Donald Trump ai microfoni della Nbc News. La domanda era inerente alla possibilità che gli Usa scivolassero nella recessione a seguito della guerra dei dazi. L’economia a stelle e strisce ha già registrato una contrazione nei primi tre mesi dell’anno.

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