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Consumi in Italia in calo del 2,6%: Sud messo peggio, Benevento ultima tra le province

di Redazione Ilquotidianodinapoli.it
11/05/2025
in Economia Italiana
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Consumi in Italia in calo del 2,6%: Sud messo peggio, Benevento ultima tra le province

Il rallentamento dei consumi in Italia assume ormai i contorni di una tendenza strutturale, più che di un fisiologico momento di difficoltà. I dati diffusi dall’Osservatorio consumi Confimprese-Jakala, relativi al primo trimestre del 2025, non lasciano spazio a interpretazioni ottimistiche: la spesa complessiva delle famiglie italiane è calata del 2,6% a valore rispetto allo stesso periodo del 2024.
Un segnale chiaro di come la diffidenza verso il futuro e l’incertezza economica stiano modificando le abitudini di spesa, alimentando un clima di prudenza che tocca tutti i comparti, ma penalizza in particolare alcune aree del Paese. Il Mezzogiorno, ancora una volta, paga il prezzo più alto, con la Campania maglia nera tra le regioni e Benevento ultima provincia d’Italia con un drammatico -7,3%.

La crisi dei consumi in Italia
Il rallentamento dei consumi in Italia è figlio di una tempesta perfetta: da un lato, una perdita di potere d’acquisto sempre più marcata e, dall’altro, una situazione internazionale instabile, dominata da guerre commerciali e tensioni geopolitiche, che scoraggiano dal compiere spese non strettamente necessarie. Il risultato è una maggiore propensione al risparmio delle famiglie e una gestione oculata del portafoglio da parte degli investitori, con la tendenza a rimandare acquisti importanti a tempi migliori.

Il sentiment è chiarissimo: gli italiani non si fidano, attendono. La frenata dei consumi si traduce, nei fatti, in una contrazione diffusa che interessa tutti i settori merceologici, nessuno escluso. Nemmeno la ristorazione, che registra un -2,6%, riesce a evitare la discesa. Il ritorno ai consumi in casa rispetto al “fuori casa” è uno dei segnali più evidenti di questa mutazione del comportamento d’acquisto, che si riflette anche in una contrazione della socialità e della spesa esperienziale.
Abbigliamento e centri commerciali reggono (ma relativamente)
A contenere parzialmente l’emorragia è il comparto abbigliamento e accessori, che limita i danni con un -0,8%. Male, invece, il settore definito come “altro retail” – ovvero quello dei beni non essenziali o voluttuari – che crolla a -6,7%, evidenziando una tendenza chiara a rinunciare a tutto ciò che non è prioritario. L’effetto è un congelamento degli acquisti più impegnativi: meno elettronica, meno oggetti per la casa, meno beni durevoli.
Quanto ai canali di vendita, la fotografia è altrettanto impietosa. Le high street, ovvero le vie dello shopping nei centri storici, registrano un -4,6%, penalizzate dalla minore mobilità e dal clima di incertezza. I centri commerciali limitano le perdite con un -1,8%, forse grazie a una maggiore capacità di attrazione di consumatori in cerca di convenienza. Male anche la prossimità – ovvero i negozi sotto casa – che conferma l’andamento negativo a -2,2%.
Sud Italia sempre più in affanno
Sul piano territoriale, i dati mettono a nudo l’ennesima frattura tra Nord e Sud, con il Mezzogiorno che mostra un arretramento più marcato rispetto alla media nazionale. Il Sud chiude il trimestre a -3,2%, peggio del Nord-Ovest (-2,7%) e del Nord-Est (-2,4%), mentre il Centro limita i danni a -1,4%.
Ma è il dettaglio regionale a essere ancora più eloquente: la Campania guida la classifica negativa con un -4,8%, a dimostrazione di come il contesto socio-economico più fragile stia reagendo con maggiore sofferenza al contesto generale. L’emblema di questa crisi è rappresentato da Benevento, che scivola all’ultimo posto tra tutte le province italiane con un preoccupante -7,3%. Un dato che racconta una perdita di fiducia, una assenza di redditi sufficienti a sostenere i consumi, ma anche un disinvestimento progressivo da parte delle catene commerciali che vedono in queste aree un ritorno sempre più scarso.
Imperia e Genova le uniche note positive
In questo contesto generale fosco, si segnalano due eccezioni geografiche: Imperia, con un incremento dello 0,7%, e Genova, che riesce quantomeno a mantenersi stabile. Si tratta di segnali deboli, ma importanti. Soprattutto perché dimostrano che alcune realtà locali riescono, grazie a strategie territoriali e a un’offerta commerciale mirata, a reagire al clima generale di sfiducia.
Il quadro che emerge è chiaro: senza un intervento deciso da parte delle istituzioni, sia a livello nazionale che locale, la crisi dei consumi rischia di diventare una vera emergenza sociale.
Il tempo stringe. Perché la crisi dei consumi non è solo un indicatore economico: è lo specchio di una società che fatica a guardare avanti.

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